inflazione circolante e galoppante corso forzoso iperinflazione

L'inflazione rappresenza un fenomeno della sfera economica, che si manifesta in un sistema con l'aumento costante del livello dei prezzi, il quale determina a sua volta come effetto principale la caduta del potere d'acquisto della moneta in termini reali. Se questo aumento si mantiene entro una misura percentuale oscillante intorno al 4-5% annuo si parla, usando un linguaggio figurato, di inflazione strisciante, se supera di molto questi livelli, e si assiste ad una rincorsa tra costi e prezzi, si ha l'inflazione galoppante. Ma non si può parlare di inflazione misurandola solamente sull'aumento dei prezzi, che in realtà ne costituisce il fenomeno e non la causa, e che può semmai accelerare la spirale inflazionistica ma non determinarla. La teoria economica identifica tra le cause tradizionali dell'inflazione, l'aumento della quantità di moneta in circolazione, sia essa aurea o a corso forzoso, mentre la quantità di beni resta immutata. Ora avviene che l'aumento della moneta circolante induce chi la possiede a disfarsene causando un aumento della domanda con conseguente aumento del prezzo dei beni, e quindi la messa in opera della spirale, che però non si presenta in forma così lineare, poiché nella prima fase del processo in genere l'aumento dei prezzi non è direttamente proporzionale a quello della moneta, mentre in seguito, con nuove immissioni di moneta, i prezzi assumono un andamento autonomo e incontrollabile con le normali leggi della domanda e dell'offerta.

Si può entrare allora in quella che viene definita l'iperinflazione, in cui la moneta, oltreché perdere il suo valore, perde anche la sua funzione di equivalente generale. I casi di iperinflazione nell'economia moderna sono rarissimi (Germania dopo la guerra, URSS dopo la rivoluzione, Ungheria nel 1919 e nel 1946 e pochi altri) almeno nei paesi altamente industrializzati, e bisogna dire che essa, una volta iniziata, si autoalimenta inducendo gravissimi squilibri economici e quindi sociali non facilmente governabili. La gravità dei problemi che l'iperinflazione pone è stata ed è talmente sentita che intere generazioni di economisti si sono cimentate per evitarla cercando innanzi tutto di conoscere le cause dell'aumento dei prezzi e dei meccanismi che portano a questa disfunzione del sistema economico. Tra le principali cause che tendono a disequilibrare si possono elencare quelle inerenti all'aumento della spesa pubblica, allo squilibrio tra domanda ed offerta di merci e servizi con un netto prevalere della prima, all'aumento dei costi di produzione a cui non corrisponde un aumento della produttività, all'avanzo della bilancia dei pagamenti. La prima è una causa tipicamente finanziaria: si verifica più frequentemente in occasione di guerre o calamità a fronte delle quali lo Stato deve affrontare massicce spese pubbliche, ma oggi è abbastanza agevolmente prevista e controllata. La seconda e la terza sono le più frequenti e le più inerenti al modello di sviluppo capitalistico, essendo di natura economica e relative al meccanismo di produzione ed accumulazione.

In effetti un eccesso di domanda, sia esso causato dalla domanda pubblica o da un ipertrofico sviluppo di spese private produttive e creatrici di maggiori redditi utilizzabili per ulteriori aumenti nella domanda di beni di consumo, porta inevitabilmente a squilibri ed inflazione ed alla conclusione che un controllo delle spese globali a prescindere dalla loro natura e provenienza è necessario per non aumentare quello che Keynes chiamava scarto inflazionistico tra domanda e offerta, che è sempre operante. Nel caso visto sopra siamo in presenza di un aumento dei prezzi dovuto alla spinta dei consumatori, ma spesso esso si accompagna a quello derivato dalle pressioni dei venditori, che ha natura molto diversa pur producendo effetti similari. L'inflazione dei venditori, generata dall'aumento dei costi, reali o Attizzi, viene ricondotta dagli economisti borghesi quasi esclusivamente all'aumento dei salari al di sopra dell'aumento della produttività. Si sostiene infatti che il rialzo dei salari segue ritmi non conciliabili con l'equilibrio del sistema e che quindi un aumento dei prezzi è necessario per mantenere i costi entro limiti sopportabili. La vera ragione è ovviamente che gli imprenditori aumentano i prezzi in misura tale da mantenere immutato e spesso da accrescere il loro profitto, ed anzi più di una volta è proprio la volontà delle grandi imprese monopolistiche di realizzare superprofitti attraverso i prezzi amministrati che conduce ad un inflazione da profitti, niente affatto simmetrica rispetto alle domande di aumenti salariali.

È da rifiutarsi quindi come non rispondente alla realtà tutta quella scuola economica che sotto l'influenza del labour standard riconduce l'inflazione da aumento dei costi e dei prezzi all'unica matrice dell'aumento dei salari, mentre invece sia le imposizioni delle imprese oligopolistiche, sia la rigidità delle quote di profitto sono ragioni storicamente ben più determinanti. Se mai si può dire che un aumento dei salari può generare un aumento della domanda di beni di consumo, qualora non sia altrimenti indirizzato, e quindi favorire la spirale inflazionistica in atto. Gli effetti più gravi dell'inflazione, sono facilmente intuibili, ma alcuni di essi sono tipici e colpiscono in modo particolare le imprese assicuratrici che hanno investito in titoli a reddito fisso, le banche ipotecarie e le banche ordinarie, poiché l'inflazione favorisce i debitori a scapito dei creditori, e perché il loro ruolo nell'economia nazionale diminuisce, a meno che non facciano da intermediarie tra risparmiatori esteri e investitori nazionali.

Sul piano fiscale l'inflazione aumenta le sperequazioni tra i percettori di reddito fisso e le altre categorie, alleggerisce il debito pubblico dello Stato, ma contemporaneamente aumenta il deficit di bilancio poiché le entrate non seguono il passo dell'aumento delle uscite. Altri effetti si hanno sull'occupazione, sul reddito, sulla produzione economica complessiva e sul commercio internazionale. Quest'ultimo si orienta verso un aumento delle importazioni e quindi una bilancia commerciale passiva, a meno che l'aumento dei prezzi interni e la vischiosità dei cambi internazionali non causino un'attrazione dei compratori esteri favoriti dal mercato interno.

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